Chiesa parrocchiale di Coldirodi

Alcuni storici affermano che l'attuale abitato del paese sia sorto in seguito alla distruzione, avvenuta nel 1316 ad opera dei barbari, di Poggio Pino o Poipino, località individuabile in regione Pietralunga. Il paese si dotò subito di una piccola cappella, fondata presumibilmente nel 1319 subito dopo la costruzione delle prime case sulla collina, e dedicata al santo protettore contro la peste.

Sino al 1449 sul territorio della Civitas Sancti Romuli esisteva un'unica chiesa parrocchiale, con il relativo fonte battesimale, ed era San Siro fuori dalla cerchia muraria. Visto però che non era più sufficiente a contenere l'aumentata poplazione, dietro richiesta dei due massari della cappella Giacomo Anfosso e Giovanni Calvino, sentito il parere favorevole del preposito di San Siro Giovanni Battista Gioffredo e considerato il fatto che i bambini, condotti a Sanremo durante l’inverno per ricevere il battesimo, potevano morire lungo il tragitto, e che pure gli altri La facciata della Chiesa e la Piazza in una foto d'epocasacramenti erano amministrati con grandissimo disagio per la popolazione locale, il presule ingauno accolse la richiesta dei collantini.
Il 9 gennaio 1494 il vescovo di Albenga emanò quindi il decreto con cui la chiesa di San Sebastiano di Coldirodi veniva ufficialmente eretta a parrocchia, otretutto assegnando per decreto la zona del Solaro alla giurisdizione della parrocchia collantina. Primo rettore e artefice della divisione fu il sacerdote Romolo Calvini.
Il mantenimento della nuova Parrocchia provvide il Vescovo che come Signore del territorio di competenza alla Chiesa, ordinò ai sindaci, ai massari e agli abitanti della Valle di Rodi di impegnarsi a pagare un canone annuo, oltre alle decime concordate da tutti i capifamiglia della Colla dotare la nuova chiesa del reddito necessario.

La riscossione di tali decime avrebbe tuttavia causato una lunga serie di incomprensioni e controversie tra i collantini e il prevosto e i canonici di San Siro, che si sarebbero acuite soprattutto nel corso del Seicento, per via della drastica diminuzione delle imposte ecclesiastiche versate dai contadini locali sui terreni messi a coltura in tempi più recenti rispetto a quelli dei loro antenati.



Chiesa vista dalla piazzaLa pratica avviata con il decreto vescovile non fu tuttavia risolta rapidamente, in quanto la separazione definitiva dei beni delle due chiese di San Siro e San Sebastiano sarebbe stata regolata soltanto con un decreto emesso dalla comunità di Coldirodi il 18 agosto 1549 in merito al pagamento del canone dovuto dalla parrocchiale collantina alla chiesa di San Siro.
La precedene cappella del 1319 venne ricostruita quale sede della chiesa parrocchiale ed il vescovo di Albenga Leonardo Marchesi consacrò il nuovo edificio il 20 agosto 1505. La chiesa dopo un ulteriore ingrandimento seguito alla gravissima pestilenza che aveva colpito il paese nel 1491, era caduta in rovina subito dopo il terremoto verificatosi nello stesso anno della consacrazione da parte del presule ingauno, tanto che si rese improrogabile un nuovo totale rifacimento dell’edificio sacro.
Il 26 giugno 1616 fu posta quindi la prima pietra della nuova chiesa, poi terminata nel giro di dodici anni e solennemente benedetta il 6 gennaio 1628.
Altre costruzioni vennero eseguite nel 1643, quando il Consiglio comunale stanziò la somma di cento lire per finanziare la fabbrica della chiesa, mentre nel 1708 furono erogate altre cento lire come rimborso ai consoli della Colla che avevano fatto costruire la casa per il rettore della chiesa. Nel 1636 fu ampliata ed abbellita. Altre spese per la parrocchiale furono sostenute nel 1728, nel 1736, nel 1737 e nel 1744, con un esborso complessivo piuttosto consistente totalmente carico dalla popolazione locale.

Dopo la separazione dalla comunità da Sanremo nel 1753, gli abitanti della Colla, sotto la direzione del prevosto Giorgio Donato Rodi, che aveva assunto le funzioni di parroco dopo la morte del rettore della chiesa Giovanni Battista Semeria, detto Boso, anche al fine di garantire una maggiore capienza dell’edificio e conferirgli un aspetto più imponente, intrapresero dei grandiosi lavori di ampliamento della struttura. La chiesa fu dunque allungata con l’abbattimento di alcune case situate dietro il fondo dell’edificio, dove fu innalzata l’ampia zona absidale nell’area rimasta libera, mentre nel 1750 vennero destinate quaranta lire per la riparazione del campanile a fianco della chiesa, che i collantini desideravano particolarmente slanciato e imponente.
Il lungo e impegnativo ingrandimento dell’edificio sacro venne sostenuto da tutta la popolazione, che contribuì con i soliti turni di lavoro gratuito, mentre i principali rappresentanti dell’autorità laica e di quella religiosa del paese, fautori della realizzazione dei massicci interventi di ampliamento dell’edificio, furono i massari della chiesa e i consiglieri.
L’ingrandimento della chiesa richiese inoltre arredi e ornamenti più ricchi e sontuosi, cosicché il Comune spese tra il 1764 e il 1769 la somma di 3.682 lire per l’acquisto dell’organo, di una croce d’argento per le processioni, di lampade e di un reliquiario dei santi Ignazio e Sebastiano. Negli anni seguenti si effettuarono poi altri acquisti per procurarsi le tappezzerie destinate all’addobbo delle pareti in occasione delle principali festività.

Un'altra visuale sulla ChiesaNel 1761 venne costruito il presbiterio con il coro ad opera del Parroco don Giorgio Donato Rodi, il primo a fregiarsi del titolo di "prevosto", mentre nell’ottobre del 1772 si tenne una solenne processione per accogliere degnamente le spoglie del martire san Fortunato, trasferite nella parrocchiale dalla chiesa di San Bernardo, dove erano state in un primo tempo collocate subito dopo il loro arrivo da Roma, tra il giubilo della popolazione locale particolarmente devota al santo martire, alla cui intercessione fu anche attribuita una miracolosa guarigione avvenuta proprio nei giorni della sua traslazione nella parrocchia collantina.

All’interno della chiesa, con le opere nella navata centrale realizzati nel 1858 dal stuccatore ticinese Andrea Adami con oro zecchino, sono custodite numerose opere, tra cui l’altare maggiore, una pala in stile barocco, ora trasferita nella sacrestia, raffigurante San Sebastiano con san Giuseppe e l’Evangelista; l’affresco della volta sopra il coro, rappresentante San Sebastiano in gloria, dipinto da Maurizio Carrega (1737 - dopo il 1819); una Pietà, realizzata da uno sconosciuto artista italiano del Settecento, collocata sulla parete a sinistra dell’altare maggiore nella zona presbiteriale e un Angelo, eseguito anch’esso da autore ignoto, un altare ligneo di raffinata fattura applicato su una croce di tartaruga con decorazione intagliata di fregi e arabeschi particolarmente vistosi e eleganti.
Altre opere significative sono costituite dai quattordici dipinti di una Via Crucis realizzata nel Ponente ligure nel XVIII secolo, un’artistica statua di san Sebastiano attribuita allo scultore genovese Anton Maria Maragliano (1664-1741); un Crocifisso in avorio e reliquie di vari santi e martiri, tra i quali quelle di santa Marziana. Tra le reliquie si segnalano in particolare quelle costituite da particelle di ossa appartenenti ad alcuni papi martirizzati, conservate in un’artistica
guglia di metallo dorato e oggetto di speciale venerazione da parte di papa Pio VI.
Dei vari dipinti presenti all’interno della chiesa meritano di essere ricordati soprattutto la tela Madonna con Gesù Bambino e santi, eseguita da un anonimo pittore italiano nel XIX secolo e posta sulla parete destra dell’altare maggiore nell’area del presbiterio; il quadro Madonna intercede per le anime purganti, realizzato nella Liguria occidentale nel corso del Settecento, ubicato sulla parete sinistra del terzo altare nella navata centrale; la tela Sacra Famiglia e santi,
opera di ignoto artista ponentino del XVIII secolo collocata sulla parete destra del secondo altare nella navata centrale; e una Madonna Assunta, realizzata anch’essa nel Settecento da uno sconosciuto pittore della Liguria di Ponente e sistemata nella parete di fondo del terzo altare sul lato destro della navata centrale.
Le sculture più rilevanti della chiesa sono poi costituite, oltreché dalla statua del santo titolare attribuita al Maragliano, la statua di san Pietro, prodotta da una bottega artigiana italiana nel corso dell’Ottocento e collocata al centro dell’altare della seconda cappella sulla parete sinistra della navata centrale; la scultura del Cristo risorto, munita di raggiera dorata, eseguita da anonimo artista della Liguria occidentale nel Seicento sulla cimasa dell’altare situato nella parete di fondo della seconda cappella sul lato sinistro della navata centrale; e un Cristo morto, opera di uno sconosciuto scultore ponentino del XVIII secolo, sistemata in una nicchia nello spazio d’accesso al presbiterio sulla parete destra della navata centrale.
La chiesa è dotata infine di un grande organo, costruito dalla ditta di Natale Marelli di Milano nel 1910 e sito nella cantoria lignea ubicata sopra l’ingresso principale all’interno di una cassa dipinta, decorata e munita di portelle, che è stata a sua volta inserita in un’altra preesistente che risaliva al Settecento.
Nel XXI secolo venne realizzata la balaustra in marmo.

(fonti: Ernesto Porri; Andrea Gandolfo)

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