Storia di Verezzo

Verezzo è distribuito in più borgate sparse (San Donato, Sant’Antonio, Ponte, Rodi, Case Ghersi) nella conca del rio San Martino, delimitata La vallata di Verezzodalle dorsali della Colla Bella e della Costa Bandita, sul versante sudorientale di Monte Bignone.

Il toponimo deriva probabilmente dal termine prediale latino Veretium, mentre si deve presumibilmente ritenere fantasiosa l’ipotesi che il nome della località derivi dalle casupole ricoperte di tetti di paglia denominate “villeggi” e costruite dai contadini per evitare di dover ogni sera ritornare alle loro case in città, distante circa dieci chilometri, oltreché per difendersi talvolta anche dalle ingiurie del tempo.

PanoramaIl territorio di Verezzo venne presumibilmente abitato fin dalle epoche più remote della protostoria da tribù dedite all’agricoltura e alla pastorizia, mentre è documentata l’esistenza nella zona di primitive fortificazioni costruite con muraglioni a secco in stretto e costante collegamento tra loro, i cosiddetti "castellari", che rappresentarono per vari secoli una valida difesa dei terreni coltivati, dei pascoli, dei boschi e delle principali vie di comunicazione dalle incursioni dei predoni e tribù nemiche.

I castellari vennero edificati sulla sommità delle colline in modo da poter controllare tutto il territorio sottostante e renderne difficile l’accesso agli estranei, tanto che i rilievi prescelti avevano sempre le pareti scoscese o rocciose su uno o più di uno dei lati. Le mura erano costituite da grandi massi reperibili sul posto, mentre nell’area interna dei castellari erano ubicate capanne e alcune piccole abitazioni. Nei castellari di più ampie dimensioni potevano trovare sistemazione interi villaggi e zone destinate al pascolo del bestiame. L’organizzazione difensiva, decisivamente avanzata per i tempi, prevedeva inoltre il collegamento visivo tra tutti i castellari, che, in caso di pericolo, si avvertivano a vicenda tramite segnali di fumo o suoni prodotti da corni e conchiglie marine in modo che gli abitanti e gli animali si potessero mettere al sicuro all’interno delle diverse fortificazioni fino a quando l’emergenza non fosse definitivamente cessata.

Castellaro di Monte ColmaUno tra i più rilevanti castellari situati sulla cintura dei monti sanremesi è quello ubicato sulla vetta di Monte Colma (649 metri), sovrastante l’abitato di Verezzo. Questo castellaro, probabilmente il più completo e il meglio conservato di tutto l’estremo Ponente ligure, presenta cinte murarie di tipo poligonale formate da un doppio cordone parallelo di minuto pietrame, che presenta uno spessore di ben nove metri sul lato settentrionale e meridionale della costruzione; le altre due ali, erette su un terreno brullo e scoscese, misurano invece un solo metro di spessore. L’altezza delle mura ammonta a circa tre metri, mentre l’intero castellaro si estende su un’area lunga oltre cento metri. Nella parte interna del castellaro sono venuti alla luce i resti di una costruzione a pianta quadrata, le rovine di una torre di vedetta e una zona pianeggiante nella parte meridionale, di cui non è stato possibile accertare la destinazione. Accostate alle mura esterne sono state invece individuate alcune costruzioni di modeste dimensioni risalenti all’età preromana e romana, che con ogni probabilità rappresentano quello che è rimasto di due distinti villaggi abitati da pastori e agricoltori della zona in epoca protostorica. I resti di un piccolo edificio di età romana situato nei dintorni del castellaro e distrutto da un incendio attestano forse l’abbandono del sito in età romana.
Tra i numerosi reperti, in genere ceramici, rinvenuti all’interno della costruzione e databili tra il V secolo a.C. e il III d.C., risultano particolarmente significativi per stabilire l’entità dei rapporti di queste popolazioni con le colonie greche della vicina Provenza i resti di anfore massaliote (da Massalia, nome greco di Marsiglia), ritrovati in località «Ture» poco oltre la chiesa di Sant’Antonio, che rappresentano un chiaro indizio di un probabile scambio commerciale avvenuto a livello locale o eventualmente anche del frutto di un bottino di azioni piratesche.

Reperto di anfora sul Monte ColmaReperti vasi ed anforeL’insieme dei reperti archeologici venuti alla luce sul Monte Colma e nelle vicinanze di Verezzo testimoniano comunque la continuità abitativa del territorio alle spalle di Sanremo a partire dall’età del Ferro, caratterizzata dall’erezione dei primi castellari sulle alture circostanti l’attuale abitato, fino agli insediamenti dell’età romana, che rappresentano la prosecuzione della frequentazione umana del comprensorio dopo la conquista romana del Ponente ligure avvenuta nella seconda metà del II secolo a.C. e poi definitivamente stabilizzatasi in seguito alla pacificazione dei popoli alpini in piena età augustea.

Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, la zona di Verezzo venne devastata dalle incursioni barbariche, passando quindi sotto la dominazione dei Bizantini, che dotarono il territorio della Liguria occidentale di un efficiente sistema difensivo per prevenire eventuali attacchi esterni; in particolare nella Riviera di Ponente vennero istituiti intorno al 553 sei distretti militari ruotanti ad altrettanti centri fortificati, mentre l’estrema Liguria occidentale veniva inserita amministrativamente nella circoscrizione bizantina della Provincia Maritima Italorum.

Ai Bizantini subentrarono nel VII secolo i Longobardi guidati da Rotari, che nel 643 conquistarono e devastarono diversi villaggi liguri, tra i quali forse anche il primitivo nucleo abitato dell’odierna Verezzo.
Alla dominazione longobarda succedette quindi nel 774 quella dei Franchi, che occuparono la Riviera di Ponente fino all’888.
Durante l’epoca carolingia il territorio della Liguria occidentale venne suddiviso in comitati, affidati alla giurisdizione temporale di un conte appartenente all’aristocrazia franca. L’attuale paese di Verezzo e il territorio ruotante intorno alla Villa Matutiana (l’odierna Sanremo) entrarono allora nella sfera di influenza del Comitato di Ventimiglia, il cui territorio coincideva di fatto con quello del relativo municipio dell’età romana.
Il comitato ventimigliese corrispondeva inoltre alla giurisdizione dell’equivalente diocesi intemelia, che estendeva il suo potere religioso su un’area che arrivava a levante fino al torrente Armea e inglobava anche il comprensorio matuziano.

SaraceniTra il IX e il X secolo molti abitanti della Villa Matutiana, per sottrarsi al rischio di incursioni e saccheggi da parte dei corsari saraceni, che allora devastavano e saccheggiavano il litorale ligure, decisero di rifugiarsi sui monti circostanti il villaggio costiero e vi impiantarono nuovi centri abitati. Tra questi ultimi vi dovette essere con ogni probabilità anche il primitivo nucleo di Verezzo, dove i matuziani che vi si erano rifugiati iniziarono a costruire le prime abitazioni e a dedicarsi ad attività agricole. La zona rurale del paese cominciò probabilmente ad essere abitata in modo stabile e permanente dopo la costruzione delle due chiese principali del borgo da parte di famiglie di contadini che hanno dato il nome alle diverse borgate e gruppi di case: i Modena, i Moreni, i Giordani, i Ghersi ed altri.
Dopo i secoli medievali, nel corso dei quali l’abitato di Verezzo si era ulteriormente sviluppato grazie anche all’intraprendenza dei numerosi contadini che vi si erano stabiliti attratti anche dalla particolare mitezza del clima e dall’amenità della vallata immersa tra il verde dei boschi di pini e castagni, la zona di Verezzo venne coinvolta a partire dalla prima metà del XVI secolo nell’aspro scontro tra la popolazione locale e i pirati barbareschi che infestavano il Ponente ligure devastando selvaggiamente i principali centri abitati della costa e dell’entroterra.

Nell’estate del 1543 Verezzo fu al centro del più importante scontro armato tra i Turchi e i Sanremesi, che inflissero una pesantissima sconfitta  Barbarossa_Hayreddin Pashaai pericolosi corsari. Tutto era iniziato ai primi di luglio di quell’anno, quando una gigantesca armata turca, composta da circa centocinquanta galee, aveva sfilato davanti a Sanremo al comando dell’ammiraglio turco Ariadeno, detto Barbarossa, assai noto per la particolare audacia; si era unita a quella già imponente flotta anche una squadra di pirati barbareschi, provenienti dalla Berberia, una regione dell’Africa settentrionale, ben noti per la loro ferocia e avidità. Tale situazione non fece che acuire ulteriormente lo stato di ansia e trepidazione dei Sanremesi, che notte e giorno cominciarono a sorvegliare le mosse di quelle navi che si fermarono davanti a Villafranca e intimarono ai Nizzardi una resa a discrezione.
Iniziarono allora lunghe giornate di profondo scoramento alternato a speranza da parte dei Nizzardi, incerti se perdere i beni e la vita con una resa senza combattimento, o tentare una difesa contro forze enormemente superiori. Intanto Barbarossa preferiva aspettare nella certezza di ottenere l’ambito bottino senza correre rischi di perdite. Il 4 agosto il podestà di Sanremo Luca Spinola scrisse al governo genovese per informarlo che un cittadino sanremese di ritorno dalla Provenza gli aveva riferito di aver visto la flotta turca nel pieno della sua potenza con moltissime galee cariche di uomini pronti allo sbarco e di una grande quantità di materiale da assalto costituito da scale, calce e legname.

Nel frattempo la squadra barbaresca, o per ordine di Barbarossa o per decisione autonoma, ma sicuramente spinta dall’impazienza e dal vivo desiderio di depredare un sostanzioso bottino, all’alba del 7 agosto tentò uno sbarco con nove galee sulle spiagge di Sanremo, che erano però attentamente vigilate da uomini armati pronti alla difesa. I pirati, vista la situazione a loro sfavorevole, attuarono allora un ingegnoso stratagemma: finsero di rinunciare all’impresa veleggiando verso levante, ma appena girato il Capo Armea (oggi Capo Verde) sbarcarono alla foce del torrente e puntarono decisamente verso Poggio e Verezzo, allo scopo di prendere Sanremo alle spalle, forse guidati da qualche rinnegato pratico dei luoghi.
Scena di una battaglia campaleIl tranello però non riuscì in quanto i Sanremesi non avevano creduto alla rinuncia barbaresca dell’impresa seguendo quindi le mosse del nemico, di cui avevano intuito il piano di aggiramento. All’arrivo improvviso dei pirati in località Parà a Verezzo, i militi sanremesi si erano già appostati nei punti più strategici in attesa dell’assalto nemico, mentre un altro contingente di Sanremesi attendeva il nemico nella zona di Poggio Radino.

Monte alle spalle di VerezzoI Barbareschi tentarono invano di forzare lo sbarramento, fiduciosi nella loro fama di combattenti feroci e coraggiosi e forse anche nella loro superiorità numerica, ma dovettero scontrarsi con l’accanita resistenza dei Sanremesi, che, guidati dal podestà Spinola, combatterono strenuamente per ben otto ore prima di aver ragione dei pirati, che alla fine dovettero darsi alla fuga non prima però di aver rapito molte donne e bambini di Verezzo, Poggio e delle altre frazioni di Sanremo che erano stati sorpresi all’aperto e che purtroppo non fecero più ritorno. I Turchi lasciando il territorio sanremese inferociti per il mancato successo dell’attacco, proferirono pesanti minacce alle sentinelle costiere avvertendole che presto sarebbero tornati per vendicarsi.

La battaglia della Parà, avvenuta il giorno di San Donato, era destinata a diventare una data simbolica e particolarmente significativa in quanto rappresentava una grande e inattesa vittoria dei Sanremesi sui temutissimi pirati barbareschi, che erano stati clamorosamente sconfitti proprio nel momento della loro massima potenza.
Il 7 agosto 1607 il Consiglio comunale di Sanremo proclamò il giorno in cui si era svolta la battaglia della Parà solenne festività cittadina, mentre negli stessi anni veniva pure deciso di celebrare l’importante avvenimento con la costruzione a Verezzo di una chiesa dedicata a San Donato nei pressi del luogo della battaglia, edificata nel 1556 e poi sostituita dall’odierna chiesa ulteriormente ampliata intorno al 1630.

Croce della ParàVenne anche stabilito che una delegazione di Sanremesi si sarebbe recata in processione ogni anno alla chiesa di Nostra Signora degli Angeli per celebrare l’importante ricorrenza, che sarebbe stata anche commemorata tramite l’erezione di una grande croce, tuttora esistente, sul luogo della battaglia in località Parà, a futura e perenne memoria della decisiva vittoria riportata dai Sanremesi sui Turchi.


Pochi mesi dopo la battaglia della Parà giunsero a Sanremo notizie provenienti da Nizza che lasciavano bene sperare in una prossima liberazione degli abitanti di Verezzo e di Poggio catturati dai Turchi nel corso dell’incursione del 7 agosto 1543. Il capitano Antonio Gaudo aveva infatti consigliato il podestà Spinola di trattare la cosa con il conte dell’Anguillara e con lo stesso Barbarossa. Spinola inviò allora uno scrivano a Nizza che venne ricevuto amichevolmente dall’Anguillara ed ebbe un colloquio anche con Barbarossa, dal quale ottenne però soltanto la promessa di rinviare la soluzione della questione a dopo la resa definitiva di Nizza, perché in quel momento non era possibile rintracciare tutti i capitani delle galee, sparsi qua e là nel vasto teatro di guerra.

Assedio di NiceaL’unica concessione che l’inviato di Spinola riuscì a strappare all’ammiraglio turco fu quella di ottenere un salvacondotto che permetteva alle navi sanremesi di esercitare liberamente la loro attività commerciale in Provenza e dovunque avessero voluto, mentre per gli abitanti di Verezzo e Poggio catturati non ci fu più nulla da fare ed è molto probabile che tali sfortunati prigionieri abbiano finito i loro giorni come schiavi in qualche galea barbaresca o morti di stenti in una prigione turca. Cessata la minaccia barbaresca la vita riprese anche a Verezzo, dove nel 1680 è documentata la presenza di un canonico, che nella chiesa di San Donato teneva la predica domenicale ai fedeli e insegnava la dottrina cristiana ai figli dei contadini.

In occasione della rivoluzione del 1753 contro Genova, Verezzo si schierò coraggiosamente con i Sanremesi. Lorenzo Bonfante, uno dei 481 abitanti della frazione, colpevole di aver suonato la campana a martello, di aver incitato alla rivolta i compaesani e di essersi opposto con le armi a un picchetto di soldati corsi, venne condannato all’esilio e poté rientrare al suo paese solo dopo diversi anni. Nel mese di luglio il generale Agostino Pinelli, capo del contingente genovese inviato nella città matuziana, guidò una spedizione punitiva contro Verezzo e Poggio per castigare gli abitanti delle due frazioni accusati di non aver praticato alcun atto di sottomissione verso il governo genovese, e impose anche pesanti contribuzioni, appropriandosi del bestiame e riscuotendo la somma di 1.373 lire, come prima e parziale contribuzione della popolazione locale per risarcire i danni causati dalla ribellione contro la Repubblica.

Tali provvedimenti non sfiancarono tuttavia l’intraprendenza dei “Verezenchi”, che iniziarono nei confronti di Genova una forma di resistenza passiva. Nel 1756 non avevano infatti ancora rinnovato le cariche annuali dei consoli e successivamente rifiutarono di sottoporre alla prescritta approvazione genovese i documenti della comunità.

Matteo VinzoniNel giugno 1753 il governo genovese aveva intanto affidato al colonnello Matteo Vinzoni il compito di procedere alla realizzazione di una pianta di Sanremo e alla compilazione di un catasto completo delle terre, case, boschi e prati dei privati al fine di poter applicare nuove tasse e colpire finanziariamente i Sanremesi.
Pianta geotopografica del VinzoniConclusa l’11 agosto la pratica di delimitazione dei confini tra il territorio matuziano e quello collantino, Vinzoni avviò subito dopo le prime indagini per la stesura del catasto cittadino, voluto dalle autorità genovesi ai fini dell’applicazione delle tasse e contributi adeguati al censo dei cittadini. Le operazioni, condotte da trentasei estimatori, procedettero tuttavia a rilento, anche per la tendenza dei Sanremesi a celare al massimo il reale valore dei loro immobili, tanto che nell’ottobre del 1753 il lavorò risultò finito soltanto per Poggio, la metà del territorio di Verezzo e un sesto di quello sanremese.

Il notevole sviluppo delle attività economiche nella zona di Verezzo nella seconda metà del XVIII secolo risulta confermato dalla presenza di Molino di montagnauno Statuto che i mugnai del paese si erano dati nel 1765. Dal documento si evince che i molinari di Verezzo erano allora particolarmente numerosi in quanto nella frazione sanremese si concentrava la maggior produzione di grano, con successiva trasformazione in farina destinata alla popolazione di Sanremo. Il territorio verso mare era coltivato ad agrumi, quello un poco più all’interno, appunto la zona di Verezzo San Donato, forniva il grano.
A Sanremo funzionava un solo mulino situato vicino alla Ciapéla, mentre a Verezzo i mulini, come confermato dallo Statuto dei mugnai, erano parecchi.

San MartinoCome tutte le società d’arti e mestieri, anche quella dei mugnai di Verezzo aveva il suo santo protettore: San Martino, tanto che la prima norma dello Statuto imponeva il religioso rispetto per la giornata festiva dell’11 novembre. In tale giorno del 1765 i mugnai si radunarono per ribadire, mettendo solennemente per iscritto, di festeggiare compatti e concordi tale ricorrenza, decretando che da allora in poi la solenne Messa fosse celebrata nella loro chiesa di San Donato, essendo troppo distante la chiesa parrocchiale di San Siro. Ogni mugnaio lavorante si impegnava inoltre ad assistere personalmente alla Messa cantata, al Vespro e alle altre sacre funzioni, pena una multa di quattro lire per gli assenti senza giustificato motivo.

L’arte era retta da un Console eletto con votazione segreta nel giorno di San Martino di ogni anno, mentre nella giornata del Santo protettore nessun molinaro, né i loro aiutanti, potevano macinare grano, orzo e simili granaglie dall’alba al tramonto, e nemmeno era lecito portare al mulino grano, né portare fuori farina. Ognuno doveva versare al Console dimissionario la quota di denaro stabilita, proporzionata alla quantità di lavoro effettuato nel corso dell’anno; tali quote servivano per le spese religiose del giorno di San Martino, quando il Console doveva rendere pubblicamente conto delle entrate e delle uscite.
Tutti i molinari erano inoltre obbligati ad intervenire ogni anno alla solenne processione del Corpus Domini che si svolgeva a Verezzo, portando una candela da quattro lire; una pesante multa era prevista per chi non interveniva alla sacra funzione o per chi non comprava la candela.

Campo di granoPer quanto concerneva gli aspetti di natura organizzativa e la vita interna del sodalizio, gli Statuti prescrivevano che il Console doveva intervenire a sedare i litigi e le controversie sorte tra i molinari, con potere di giudicare, con l’assistenza però di rappresentanti del governo genovese. A lui era affidato anche il controllo dell’operato di ciascun molinaro, tanto che se avesse notato che qualcuno lavorava male nella macinazione o rubava farina, lo doveva condannare. Chi voleva invece costruire un nuovo mulino doveva avvertire il Console e versargli una tantum una somma proporzionata alla costruzione, non inferiore a venti lire ma non superiore a trenta lire, secondo il giudizio del Console. Questa riscossione, come quella proveniente da eventuali multe, doveva essere impiegata per le spese del mantenimento della cappella di San Martino eretta nella chiesa di San Donato. Chi aveva intenzione di imparare l’arte del molinaro ed entrare nella società doveva pagare una somma da sei a dodici lire a giudizio del Console, eccettuati coloro che avevano già versato la quota per la costruzione del nuovo mulino.

Questi Statuti dopo circa dieci anni furono quindi presentati a sua richiesta, al commissario governativo residente a Sanremo Francesco Doria, che il 21 marzo 1775 li trasmise al governo genovese per la loro approvazione, lamentando l’abuso che i Sanremesi praticavano prima della rivoluzione del 1753 di non richiedere la prescritta ratifica genovese ad ogni loro regolamento.

Dopo la costituzione della Repubblica Ligure nel 1797, la nuova Municipalità di Sanremo stabilì che i due consoli, a cui era affidata l’amministrazione delle frazioni di Poggio e Verezzo, sarebbero stati sostituiti da due ispettori, e che le associazioni di arti e mestieri, tra cui anche quella dei mugnai di Verezzo, non potessero più intervenire con una loro rappresentanza alla processione del Corpus Domini.
Nello stesso anno Verezzo entrò a far parte del Distretto delle Palme, con capoluogo Sanremo, mentre nell’aprile del 1798 la frazione sanremese fu aggregata alla Giurisdizione delle Palme, dotata di tribunale civile e criminale, sotto l’amministrazione del Cantone di Sanremo.

Nel 1805 Verezzo entrò quindi a far parte dell’Impero francese sotto la giurisdizione del Dipartimento delle Alpi Marittime, con capoluogo Nizza. Durante l’età napoleonica si segnala in particolare l’avvio, nel 1809, di un riordino generale del sistema scolastico locale tramite l’istituzione di scuole primarie nella frazione sanremese, che furono dotate di cattedre di lingua francese e di altre discipline umanistiche e scientifiche.
Stemma dei SavoiaDopo la caduta del regime napoleonico, Verezzo entrò a far parte nel 1815 del Regno di Sardegna, sempre come frazione del Comune di Sanremo.
A partire dal mese di maggio dello stesso anno i boschi circostanti l’abitato di Sanremo cominciarono ad essere infestati da un branco di voraci lupi cervieri, che seminavano morte e terrore. Nell’ambito dell’accanita lotta senza quartiere contro le pericolose fiere, si distinsero anche tre cacciatori di Verezzo, che il 9 settembre uccisero con due colpi di fucile un esemplare maschio, che vagava nei boschi vicino a Baiardo. Nel corso del 1816, comunque, un’intensa attività venatoria svolta da gruppi di abili cacciatori, tra i quali anche alcuni valdostani inviati appositamente da governo sardo, riuscì a sgominare definitivamente la piaga dei lupi cervieri, che avevano infestato i boschi per due anni.

Nel giugno 1831 la comunità di Verezzo fu separata, con bolla pontificia emanata da papa Gregorio XVI, dalla Diocesi di Albenga per passare, insieme a numerosi altri comuni tra cui quello di Sanremo, alla Diocesi di Ventimiglia, il cui vescovo Giovanni Battista D’Albertis assunse ufficialmente la piena giurisdizione sulle nuove parrocchie il 27 agosto con una solenne cerimonia tenutasi nella collegiata sanremese di San Siro alla presenza del parroco Nicolò Morardi e dei rappresentanti del clero cittadino.

Repubblica FranceseNel 1860, in seguito alla cessione della Divisione di Nizza alla Francia, Verezzo entrò a far parte della nuova provincia di Porto Maurizio, sempre come frazione del Comune di Sanremo. Leggeri danni subì invece per il terremoto del 1887, che non causò tuttavia lesioni gravi agli edifici e non provocò né vittime né feriti.

Tra il 1880 e il 1891, durante l’amministrazione del sindaco Bartolomeo Asquasciati, era stata intanto completata la strada che conduceva da Sanremo in paese, che sarebbe stata poi completata nel 1891, sotto l’amministrazione del sindaco Alessandro Escoffier, con la costruzione dei due ultimi tronchi del percorso.
Il 3 novembre 1896 entrò invece nella Giunta municipale presieduta dal sindaco Augusto Mombello il rappresentante di Verezzo Carlo Antonio.
Durante la successiva amministrazione del sindaco Balestreri, entrata in carica il 21 ottobre 1899, venne costruita la nuova condotta di acqua potabile del paese.


Principessa SissiNella seconda metà dell’Ottocento la valle di Verezzo era intanto divenuta meta di escursioni da parte di ospiti stranieri, attratti dai paesaggi agresti e dalle caratteristiche particolarmente suggestive e pittoresche del paesaggio della frazione sanremese.


Tra le più assidue frequentatrici della “passeggiata a Verezzo” le cronache ricordano in particolare la duchessa Elisabetta, conosciuta  come Principessa Sissi, figlia di Massimiliano di Baviera e moglie dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, caduta vittima di un attentato a Ginevra nel 1898.

Dopo gli anni della prima guerra mondiale, nel corso della quale caddero diversi militari originari di Verezzo, il paese fu al centro di un progetto elaborato nel gennaio 1921 dalla Giunta presieduta dal sindaco Domenico Cotta, che prevedeva di erigere la nuova stazione ferroviaria della progettata linea a monte allo sbocco della strada provinciale Sanremo-Poggio-Ceriana-Baiardo, nelle vicinanze quindi del quartiere di San Martino e di Verezzo, mentre quella di ponente sarebbe stata costruita allo sbocco della mulattiera Sanremo-Coldirodi al centro della zona del Berigo, ma poi questo progetto rimase solo sulla carta.

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, anche la zona di Verezzo fu coinvolta nel clima bellico, particolarmente sentito data la vicinanza del paese al teatro di operazioni contro la Francia.
Il 14 settembre 1941 il podestà di Sanremo Silvio Silvestri e il segretario del Fascio matuziano Giacomo Ermeglia si recarono a Verezzo per ascoltare le ragioni e le proposte che avevano da fare gli abitanti della frazione. Accompagnati dal segretario generale del Comune Carminelli e dall’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Guidicini, le due autorità effettuarono un rapido sopralluogo in paese ascoltando numerose persone che li informarono sulle maggiori e più urgenti aspirazioni della popolazione, che rimase nel complesso soddisfatta della visita e delle rassicurazioni che i due gerarchi fecero sul pronto e fattivo interessamento del Comune alle esigenze e alle necessità degli abitanti.

Scuole del paeseNel corso del 1942 il responsabile della refezione scolastica sanremese Gioacchino Balma promosse l’attivazione di un servizio di refezione Partigiani in montagnaanche a Verezzo, dove poterono usufruire del servizio settanta bambini della frazione. Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 un gruppo di cittadini sanremesi guidati dal dottor Giovanni Cristel, coadiuvato da Antonio Canessa e Alfredo Esposito, raggiunsero un accordo con il maggiore Ferrari e il dottor Samà per poter prelevare armi e munizioni dal Presidio di via Lamarmora, che era stato abbandonato dai militari il 9 settembre, mentre altri armi furono asportate da un deposito di corso Garibaldi e consegnate a Michele Silvestri, che faceva parte di un gruppo operante a Verezzo, da dove sarebbero state riportate in città con la collaborazione del già ricordato Canessa, il quale le fece portare in un luogo più sicuro per evitare che finissero nelle mani di tedeschi o fascisti.

Partigiani in agguatoNel corso del 1944 il già citato partigiano Michele Silvestri (Milano), coadiuvato anche dalla giovanissima figlia Dilanda, organizzò i primi gruppi di resistenza a Verezzo, dove costituì una propria banda, facente parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), che il 1° ottobre 1944 sarebbe stata inclusa nelle formazioni cittadine SAP.

Durante la guerra di Liberazione il distaccamento GAP di Verezzo operò diversi colpi di mano grazie ai quali furono recuperati denaro, indumenti e viveri poi inviati alle formazioni partigiane di Gino Napolitano e Vincenzo Orengo.

Da segnalare inoltre che il 4 dicembre 1944, nei pressi di Verezzo, un gapista uccise un soldato tedesco che voleva arrestarlo.


Nel secondo dopoguerra i terreni della vallata hanno accolto numerose coltivazioni floricole, che oggi rappresentano la più cospicua fonte di reddito della popolazione, mentre vaste zone sono tuttora ricoperte da fitti uliveti e sui versanti dei colli restano grandi castagneti, che resistono al mutare dei tempi formando ancora oggi un panorama caratteristico dei secoli passati.

(fonti: testo di Andrea Gandolfo; immagini da archivio privato e Web)

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