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La Storia dell'acqua di Sanremo
(edito da Roberto Monfroni)

La storia degli Acquedotti

La scarsità di acqua nel Ponente Ligure ed in particolare a Sanremo è sempre stato nei secoli passati un grosso problema e quindi non si può evitare di parlare dell'arrivo dell'acqua a Sanremo.
L’approvvigionamento idrico di Sanremo, è sempre stato un problema e fino al 1828 l'acqua arrivava per vie occasionali.
Nella parte superiore della città (la Pigna) le acque, provenienti da falde sotterranene o meteoriche (pioggia, ecc.) erano conservate in vasche disseminate qua e là , da cui derivano anche i vari toponimi come Via Cisterna, vicolo Cisternin o "funtanassa" cui era annessa una vasca di raccolta.  

La scala d'accesso alla fonte vista durante i lavori di copertura del torrenteNella parte pianeggiante della città, il sistema dei pozzi (che recuperavano l’acqua dalle poche falde acquifere del sottosuolo o di origine meteorica), e delle cisterne, in cui si conservavano provviste d'acqua in vista dei periodi di siccità, era l'unico esistente, il solo che permettesse, dunque, l'approvvigionamento idrico.
L'acqua che si estraeva dal sottosuolo, però, come scriveva un medico e igienista del tempo, era « acqua impura e limacciosa, generatrice di gastroenteropatie, di tenia, di febbri tifoidee, ecc.». 
L'approviggionamento dell'acqua avveniva allora tramite una fonte nel corso del torrente San Romolo,  detta della Ciapéla prendendo il nome dall'monimo bastione eretto a suo tempo come facente parte di un sistema difensivo contro le invasioni saracene.
Situata molto in basso, vi si accedeva mediante due rampe di scale.


Per gli orti, l'irrigazione avveniva mediante derivazione delle acque dei torrenti, o, dove possibile, dai pozzi. Quelle derivate dai torrenti venivano captate mediante dighe o chiuse (ciüüse) attraverso i corsi d'acqua e incanalate lungo la sponda della valle in appositi canaletti (bii) in terra battuta o in muratura e portate, a caduta naturale, ad irrigare i terreni sottostanti della rispettiva vallata.
Lavandaie al lavoro lungo un "biu" (roggia)Poiché le acque non certo abbondanti dei torrenti erano demaniali, aveva forza di legge l'istituto del "devéu" o divieto di attingere acqua da parte di singoli a scapito degli altri.
Lavandaie che utilizzano il beodo per il loro lavoroCosì nella stagione calda , appositi dipendenti comunali, sotto vincolo di giuramento, in determinati giorni della settimana, assegnavano ad ogni utente la sua quota stabilita in ore e minuti, aprendo e chiudendo, in corrispondenza dell'orto da irrigare, apposite aperture (turseùi) che permettevano il passaggio del prezioso quanto scarso elemento.
Con questo sistema i terreni venivano considerati sut'àiga  (sotto l'acqua), ossia a valle di un corso d'acqua e quindi di maggior valore rispetto a qualli situati a monte, impossibilitati a fruire di tanto beneficio. Naturalmente il sistema non era scevro di errori per cui talvolta scoppiavano violente liti a causa del mancato rispetto dei tempi previsti e dei rispettivi diritti dei contadini.

In alcuni casi l'acqua, lungo il percorso nel biu veniva pure utilizzata come forza motrice per i numerosi frantoi di olive o mulini e nei tratti di biu in muratura le donne passavano ore ed ore a lavare i panni in acqua corrente.
Ormai di questi bii si trova ancora solo qualche sperduto resto qua e là a testimonianza di un passato fatto di sacrifici e di duro lavoro. (dalla Rivista: A Gardiöra n.2 del1985).

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