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Fu solo grazie a Siro Andrea Carli che, eletto sindaco il 24 febbraio 1827, prese come sua prima iniziativa, quella di affrontare il problema dell’approvvigionamento idrico della città, che necessitava urgentemente di nuove fonti, oltre a quelle succitate, in quanto i sanremesi erano ormai da tempo afflitti dalla siccità ed erano costretti ad attingere l’acqua in alcuni pozzi.

Con l'appoggio dell'Intendente Alberto Nota fece conoscere alla popolazione il suo progetto. Gli abitanti di Sanremo accolsero con entusiasmo la proposta e sia ricchi che poveri andarono a gara per aiutare i lavori prestandosi a tutti i più pesanti servizi di trasporto dei materiali da costruzione. Tuttavia si erano levate fiere opposizioni contro l'attuazione del progetto dell'acquedotto ed era stato presentato un ricorso all'Intendenza contro la Deliberazione del Consiglio (24 Aprile 1828) adducendo « al pregiudizio alle acque che servono ad innaffiare i giardini aggregati di limoni e a far andare i molini ad olio e a grano »  e perché si temeva « che possa assai difficilmente condursi l'acqua in città con felice successo come si desidera e si crede ». 

L’amministrazione comunale incaricò allora l’aiutante anziano del Corpo Reale del Genio Civile Gio Batta Luigi Clerico di scoprire una sorgente nei dintorni di Sanremo in grado di fornire l’acqua alla città, che venne alla fine individuata in quella situata alle pendici del monte di Pian di Castagna, in località Lago Nero.
Fu quindi per la magnanimità della famiglia Ammirati, con regolare atto del Notaio Francesco Donetti del 21 Ottobre 1828 , che « si sono compiaciuti di fare a questa Magnifica Comunità gratuita concessione di una sorgente d'acqua nascente nel loro terreno boschile e castagnile posto in questo territorio chiamato Breschi, in vicinanza del cosidetto Lago Negro ». Essi avanzarono solo una supplica il 2 agosto dello stesso anno nella quale, pur sapendo che il canale idrico andava a beneficio di tutti gli abitanti della città, domandarono che « dell'acqua condotta nel canale ne fosse, a profitto e vantaggio degli stessi, ossia della loro terra situata nel luogo detto della Cardellina, ossia Gogna, la quale è inferiormente attigua al canale medesimo, un filo d'acqua del volume di mezza oncia vera di Genova onde possano servirsene alla irrigazione di detta loro sottoposta terra coltiva dopo che la medesima acqua avrà servito al pubblico, in una fontana da erigersi in altra delle fasce superiori di detta terra ».
Naturalmente questa richiesta fu approvata dal Comune che scrisse « si approva e si da la debita lode al proprio zelo dei Signori Ammirati per la volontaria e gratuita concessione di un'acqua di loro proprietà. Sanremo 25 Settembre 1828, l'Intendente Nota ».

Alcuni dati tecnici: Secondo i dati esistenti in Comune la lunghezza del canale, dalla sorgente alla Porta detta di San Nicola (Porte di Santa Maria), era di metri 4.136 , con una differenza di livello di metri 317,71. Il canale era in muratura largo 0,20 alto 0,16 a fondo curvo e ricoperto con lastroni e vi furono inoltre metri 757 di tubi in cotto ben verniciati, lunghi 0,50, del diametro di 0,12, incastrati per metri 0,08 per portare da 399 metri prima della Porta di San Nicola l'acqua alle varie Fontane in città con un percorso totale di metri 4.971,20. Le vasche erano e sono in pietra calcare dei Balzi Rossi e la loro costruzione fu appaltata e deliberata il 17 Giugno del 1828 a Francesco Serra di Vincenzo.

Dopo i lavori di costruzione dell’acquedotto e il superamento di alcuni contrasti di natura demaniale, il 15 agosto 1829 l’acqua poté finalmente sgorgare per la prima volta e raggiungere con apposite ramificazioni delle condotte i vari quartieri della città, rendendo possibile la costruzione di quattro fontane: di piazza dei Dolori, di piazza di Santo Stefano, di piazza del Mercato, e solo più avanti la fontana di piazza dei Missionari.  
Delle fontane costruite mantengono il disegno originario quelle di piazza dei Dolori, di piazza Santo Stefano (o piazza Nota) e di piazza dei Missionari (oggi piazza Bresca).

Per festeggiare il lieto evento, il letterato piacentino Pietro Giordani scrisse un’epigrafe che venne murata su una conduttura dell’acquedotto lungo la strada che dal santuario della Madonna della Costa porta alla frazione di San Giacomo. Il testo dell’epigrafe, che sarebbe stata distrutta a colpi di fucile da un vandalo nel 1885, così recitava: « MDCCCXXVI / Il Consiglio del Comune / ad instanza di Alberto Nota R.° Intendente / per cura di A. Carli Sindaco / nella città che beveva scarso e reo / condusse per più di VM metri / acqua ottima / vinte le difficoltà dell’opera / accorciati grandemente il tempo e le spese / da universale e generale concorso / d’ogni ordine di cittadini ».

L’importanza di avere a disposizione un’acqua limpida e fresca era molto sentita dai cittadini in quanto, come avrebbe fatto notare Francesco Onetti: « L’acqua potabile è salubre quando è limpida, inodore, di sapore gradevole…, quando cuoce con alacrità i legumi secchi e le carni, discioglie bene il sapone senza di molto intorbidirsi né produrre con questo verun precitato ».
Fino agli anni sessanta del XIX secolo, complessivamente, l'acqua di cui la città poteva disporre era adeguata ai bisogni. I duecento metri cubi della sorgente del Lagonero erano quasi esclusivamente usati come acqua potabile, mentre si ricorreva di preferenza all'acqua dei pozzi per gli usi domestici ed irrigui.
Fu negli anni settanta del medesimo secolo che si fece sentire il problema di un maggiore e migliore approvvigionamento idrico. Nel corso di quel decennio, infatti, crebbe notevolmente la popolazione residente e aumentò la presenza turistica, crebbero le esigenze municipali e aumentarono i consumi individuali in virtù di una evoluzione delle abitudini igieniche.

Così, nel 1876, il consiglio comunale deliberò che si formasse una commissione per lo studio di una derivazione d'acqua dal fiume Roja, che avrebbe permesso un grande approvvigionamento, in grado di soddisfare anche i bisogni dell'agricoltura. Sul finire del decennio fu poi indetta una gara d'appalto e furono sollecitate diverse società a presentare al consiglio progetti adeguati.
Si era intanto ottenuta la concessione governativa per lo sfruttamento del fiume, ma nessun imprenditore si fece vivo con progetti da sottoporre ai consiglieri municipali, a causa probabilmente della grande distanza del fiume Roja da Sanremo e della impervia natura dei territori da attraversare, fattori che imponevano studi costosi e la risoluzione di difficili problemi di ingegneria idraulica.
Per iniziativa dell'amministrazione liberale-cattolica di Bartolomeo Asquasciati (1878-1891), che venne sviluppato il programma per un Acquedotto adeguato ai nuovi bisogni della città.
Nonostante la miopia di molti suoi conterranei, che per misoneismo, o per modeste e poco igieniche concezioni di vita, o per sterili privati interessi (come ad esempio la difesa dallo sradicamento di qualche pianta di limone o poniamo pure di olivo lungo l'itinerario dell'opera, o per selvaggio ed antisociale concetto del diritto di proprietà nei riguardi delle maestranze operaie adibite ai temporanei pubblici lavori nelle loro terre) non vedevano la civile necessità della costruzione di un acquedotto tale da dotare la città e l'agricoltura di acque abbondanti, l'Asquasciati, debellando tutte queste resistenze, patrocinò ed attuò (non proponeva programmi se non per attuarli) l'opera grandiosa di un'Acquedotto Municipale.
Prima di allora, in città, l'acqua si andava a prendere alla fontana con il secchio, e queste fontane del benemerito Siro Andrea Carli erano, in ogni modo insufficienti alla cresciuta popolazione. Nelle campagne poi, se in qualche terra si poteva avere un pozzo, l'orto o il campo di quel proprietario era invidiato e sospirato dai vicini come addirittura una Terra Promessa.
Targa del 1920 alle fonti di ArgalloLe fonti di Vignai dell'AcquedottoSi giunse così al 1882, anno in cui si trovò finalmente un accordo, poi perfezionato in contratto, con la Société Lyonnaise del Eaux et Eclairage, che si impegnava a condurre in Sanremo non le acque del Roja, bensì quelle delle sorgenti dell'Argallo, già acquistate per approvvigionare Ospedaletti. La Société Lyonnaise si impegnava alla costruzione di una conduttura in grado di erogare 4.000 metri cubi giornalieri per Sanremo e 200 per Ospedaletti, che sarebbe stata raggiunta da una diramazione. Inoltre, appena la città si fosse procurata la concessione governativa, la società transalpina a s'impegnava portare a 7.500 i metri cubi per Sanremo, derivando le acque del fiume Oxentina.

Erano già incominciati gli studi di incanalazione quando sorsero gravi problemi tra glì ingegneri francesi e le popolazioni di Badalucco, Vignai e Zerbi, che valutavano diritti secolari d'usufrutto sulle sorgenti che stavano per essere immesse nei condotti. La Sociéte Lyonnaise rescindette cosi il contratto e venne sostituita dall'ingegnere Giovanni Marsaglia, che assunse in proprio l'onere di approvvigionare la città alle stesse condizioni della compagnia transalpina.

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