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La Storia dell'acqua di Sanremo
(edito da Roberto Monfroni)

La storia degli Acquedotti

La scarsità di acqua nel Ponente Ligure ed in particolare a Sanremo è sempre stato nei secoli passati un grosso problema e quindi non si può evitare di parlare dell'arrivo dell'acqua a Sanremo.
L’approvvigionamento idrico di Sanremo, è sempre stato un problema e fino al 1828 l'acqua arrivava per vie occasionali.
Nella parte superiore della città (la Pigna) le acque, provenienti da falde sotterranene o meteoriche (pioggia, ecc.) erano conservate in vasche disseminate qua e là , da cui derivano anche i vari toponimi come Via Cisterna, vicolo Cisternin o "funtanassa" cui era annessa una vasca di raccolta.  

La scala d'accesso alla fonte vista durante i lavori di copertura del torrenteNella parte pianeggiante della città, il sistema dei pozzi (che recuperavano l’acqua dalle poche falde acquifere del sottosuolo o di origine meteorica), e delle cisterne, in cui si conservavano provviste d'acqua in vista dei periodi di siccità, era l'unico esistente, il solo che permettesse, dunque, l'approvvigionamento idrico.
L'acqua che si estraeva dal sottosuolo, però, come scriveva un medico e igienista del tempo, era « acqua impura e limacciosa, generatrice di gastroenteropatie, di tenia, di febbri tifoidee, ecc.». 
L'approviggionamento dell'acqua avveniva allora tramite una fonte nel corso del torrente San Romolo,  detta della Ciapéla prendendo il nome dall'monimo bastione eretto a suo tempo come facente parte di un sistema difensivo contro le invasioni saracene.
Situata molto in basso, vi si accedeva mediante due rampe di scale.


Per gli orti, l'irrigazione avveniva mediante derivazione delle acque dei torrenti, o, dove possibile, dai pozzi. Quelle derivate dai torrenti venivano captate mediante dighe o chiuse (ciüüse) attraverso i corsi d'acqua e incanalate lungo la sponda della valle in appositi canaletti (bii) in terra battuta o in muratura e portate, a caduta naturale, ad irrigare i terreni sottostanti della rispettiva vallata.
Lavandaie al lavoro lungo un "biu" (roggia)Poiché le acque non certo abbondanti dei torrenti erano demaniali, aveva forza di legge l'istituto del "devéu" o divieto di attingere acqua da parte di singoli a scapito degli altri.
Lavandaie che utilizzano il beodo per il loro lavoroCosì nella stagione calda , appositi dipendenti comunali, sotto vincolo di giuramento, in determinati giorni della settimana, assegnavano ad ogni utente la sua quota stabilita in ore e minuti, aprendo e chiudendo, in corrispondenza dell'orto da irrigare, apposite aperture (turseùi) che permettevano il passaggio del prezioso quanto scarso elemento.
Con questo sistema i terreni venivano considerati sut'àiga  (sotto l'acqua), ossia a valle di un corso d'acqua e quindi di maggior valore rispetto a qualli situati a monte, impossibilitati a fruire di tanto beneficio. Naturalmente il sistema non era scevro di errori per cui talvolta scoppiavano violente liti a causa del mancato rispetto dei tempi previsti e dei rispettivi diritti dei contadini.

In alcuni casi l'acqua, lungo il percorso nel biu veniva pure utilizzata come forza motrice per i numerosi frantoi di olive o mulini e nei tratti di biu in muratura le donne passavano ore ed ore a lavare i panni in acqua corrente.
Ormai di questi bii si trova ancora solo qualche sperduto resto qua e là a testimonianza di un passato fatto di sacrifici e di duro lavoro. (dalla Rivista: A Gardiöra n.2 del1985).


Fu solo grazie a Siro Andrea Carli che, eletto sindaco il 24 febbraio 1827, prese come sua prima iniziativa, quella di affrontare il problema dell’approvvigionamento idrico della città, che necessitava urgentemente di nuove fonti, oltre a quelle succitate, in quanto i sanremesi erano ormai da tempo afflitti dalla siccità ed erano costretti ad attingere l’acqua in alcuni pozzi.

Con l'appoggio dell'Intendente Alberto Nota fece conoscere alla popolazione il suo progetto. Gli abitanti di Sanremo accolsero con entusiasmo la proposta e sia ricchi che poveri andarono a gara per aiutare i lavori prestandosi a tutti i più pesanti servizi di trasporto dei materiali da costruzione. Tuttavia si erano levate fiere opposizioni contro l'attuazione del progetto dell'acquedotto ed era stato presentato un ricorso all'Intendenza contro la Deliberazione del Consiglio (24 Aprile 1828) adducendo « al pregiudizio alle acque che servono ad innaffiare i giardini aggregati di limoni e a far andare i molini ad olio e a grano »  e perché si temeva « che possa assai difficilmente condursi l'acqua in città con felice successo come si desidera e si crede ». 

L’amministrazione comunale incaricò allora l’aiutante anziano del Corpo Reale del Genio Civile Gio Batta Luigi Clerico di scoprire una sorgente nei dintorni di Sanremo in grado di fornire l’acqua alla città, che venne alla fine individuata in quella situata alle pendici del monte di Pian di Castagna, in località Lago Nero.
Fu quindi per la magnanimità della famiglia Ammirati, con regolare atto del Notaio Francesco Donetti del 21 Ottobre 1828 , che « si sono compiaciuti di fare a questa Magnifica Comunità gratuita concessione di una sorgente d'acqua nascente nel loro terreno boschile e castagnile posto in questo territorio chiamato Breschi, in vicinanza del cosidetto Lago Negro ». Essi avanzarono solo una supplica il 2 agosto dello stesso anno nella quale, pur sapendo che il canale idrico andava a beneficio di tutti gli abitanti della città, domandarono che « dell'acqua condotta nel canale ne fosse, a profitto e vantaggio degli stessi, ossia della loro terra situata nel luogo detto della Cardellina, ossia Gogna, la quale è inferiormente attigua al canale medesimo, un filo d'acqua del volume di mezza oncia vera di Genova onde possano servirsene alla irrigazione di detta loro sottoposta terra coltiva dopo che la medesima acqua avrà servito al pubblico, in una fontana da erigersi in altra delle fasce superiori di detta terra ».
Naturalmente questa richiesta fu approvata dal Comune che scrisse « si approva e si da la debita lode al proprio zelo dei Signori Ammirati per la volontaria e gratuita concessione di un'acqua di loro proprietà. Sanremo 25 Settembre 1828, l'Intendente Nota ».

Alcuni dati tecnici: Secondo i dati esistenti in Comune la lunghezza del canale, dalla sorgente alla Porta detta di San Nicola (Porte di Santa Maria), era di metri 4.136 , con una differenza di livello di metri 317,71. Il canale era in muratura largo 0,20 alto 0,16 a fondo curvo e ricoperto con lastroni e vi furono inoltre metri 757 di tubi in cotto ben verniciati, lunghi 0,50, del diametro di 0,12, incastrati per metri 0,08 per portare da 399 metri prima della Porta di San Nicola l'acqua alle varie Fontane in città con un percorso totale di metri 4.971,20. Le vasche erano e sono in pietra calcare dei Balzi Rossi e la loro costruzione fu appaltata e deliberata il 17 Giugno del 1828 a Francesco Serra di Vincenzo.

Dopo i lavori di costruzione dell’acquedotto e il superamento di alcuni contrasti di natura demaniale, il 15 agosto 1829 l’acqua poté finalmente sgorgare per la prima volta e raggiungere con apposite ramificazioni delle condotte i vari quartieri della città, rendendo possibile la costruzione di quattro fontane: di piazza dei Dolori, di piazza di Santo Stefano, di piazza del Mercato, e solo più avanti la fontana di piazza dei Missionari.  
Delle fontane costruite mantengono il disegno originario quelle di piazza dei Dolori, di piazza Santo Stefano (o piazza Nota) e di piazza dei Missionari (oggi piazza Bresca).

Per festeggiare il lieto evento, il letterato piacentino Pietro Giordani scrisse un’epigrafe che venne murata su una conduttura dell’acquedotto lungo la strada che dal santuario della Madonna della Costa porta alla frazione di San Giacomo. Il testo dell’epigrafe, che sarebbe stata distrutta a colpi di fucile da un vandalo nel 1885, così recitava: « MDCCCXXVI / Il Consiglio del Comune / ad instanza di Alberto Nota R.° Intendente / per cura di A. Carli Sindaco / nella città che beveva scarso e reo / condusse per più di VM metri / acqua ottima / vinte le difficoltà dell’opera / accorciati grandemente il tempo e le spese / da universale e generale concorso / d’ogni ordine di cittadini ».

L’importanza di avere a disposizione un’acqua limpida e fresca era molto sentita dai cittadini in quanto, come avrebbe fatto notare Francesco Onetti: « L’acqua potabile è salubre quando è limpida, inodore, di sapore gradevole…, quando cuoce con alacrità i legumi secchi e le carni, discioglie bene il sapone senza di molto intorbidirsi né produrre con questo verun precitato ».
Fino agli anni sessanta del XIX secolo, complessivamente, l'acqua di cui la città poteva disporre era adeguata ai bisogni. I duecento metri cubi della sorgente del Lagonero erano quasi esclusivamente usati come acqua potabile, mentre si ricorreva di preferenza all'acqua dei pozzi per gli usi domestici ed irrigui.
Fu negli anni settanta del medesimo secolo che si fece sentire il problema di un maggiore e migliore approvvigionamento idrico. Nel corso di quel decennio, infatti, crebbe notevolmente la popolazione residente e aumentò la presenza turistica, crebbero le esigenze municipali e aumentarono i consumi individuali in virtù di una evoluzione delle abitudini igieniche.

Così, nel 1876, il consiglio comunale deliberò che si formasse una commissione per lo studio di una derivazione d'acqua dal fiume Roja, che avrebbe permesso un grande approvvigionamento, in grado di soddisfare anche i bisogni dell'agricoltura. Sul finire del decennio fu poi indetta una gara d'appalto e furono sollecitate diverse società a presentare al consiglio progetti adeguati.
Si era intanto ottenuta la concessione governativa per lo sfruttamento del fiume, ma nessun imprenditore si fece vivo con progetti da sottoporre ai consiglieri municipali, a causa probabilmente della grande distanza del fiume Roja da Sanremo e della impervia natura dei territori da attraversare, fattori che imponevano studi costosi e la risoluzione di difficili problemi di ingegneria idraulica.
Per iniziativa dell'amministrazione liberale-cattolica di Bartolomeo Asquasciati (1878-1891), che venne sviluppato il programma per un Acquedotto adeguato ai nuovi bisogni della città.
Nonostante la miopia di molti suoi conterranei, che per misoneismo, o per modeste e poco igieniche concezioni di vita, o per sterili privati interessi (come ad esempio la difesa dallo sradicamento di qualche pianta di limone o poniamo pure di olivo lungo l'itinerario dell'opera, o per selvaggio ed antisociale concetto del diritto di proprietà nei riguardi delle maestranze operaie adibite ai temporanei pubblici lavori nelle loro terre) non vedevano la civile necessità della costruzione di un acquedotto tale da dotare la città e l'agricoltura di acque abbondanti, l'Asquasciati, debellando tutte queste resistenze, patrocinò ed attuò (non proponeva programmi se non per attuarli) l'opera grandiosa di un'Acquedotto Municipale.
Prima di allora, in città, l'acqua si andava a prendere alla fontana con il secchio, e queste fontane del benemerito Siro Andrea Carli erano, in ogni modo insufficienti alla cresciuta popolazione. Nelle campagne poi, se in qualche terra si poteva avere un pozzo, l'orto o il campo di quel proprietario era invidiato e sospirato dai vicini come addirittura una Terra Promessa.
Targa del 1920 alle fonti di ArgalloLe fonti di Vignai dell'AcquedottoSi giunse così al 1882, anno in cui si trovò finalmente un accordo, poi perfezionato in contratto, con la Société Lyonnaise del Eaux et Eclairage, che si impegnava a condurre in Sanremo non le acque del Roja, bensì quelle delle sorgenti dell'Argallo, già acquistate per approvvigionare Ospedaletti. La Société Lyonnaise si impegnava alla costruzione di una conduttura in grado di erogare 4.000 metri cubi giornalieri per Sanremo e 200 per Ospedaletti, che sarebbe stata raggiunta da una diramazione. Inoltre, appena la città si fosse procurata la concessione governativa, la società transalpina a s'impegnava portare a 7.500 i metri cubi per Sanremo, derivando le acque del fiume Oxentina.

Erano già incominciati gli studi di incanalazione quando sorsero gravi problemi tra glì ingegneri francesi e le popolazioni di Badalucco, Vignai e Zerbi, che valutavano diritti secolari d'usufrutto sulle sorgenti che stavano per essere immesse nei condotti. La Sociéte Lyonnaise rescindette cosi il contratto e venne sostituita dall'ingegnere Giovanni Marsaglia, che assunse in proprio l'onere di approvvigionare la città alle stesse condizioni della compagnia transalpina.


Il contratto, stipulato in data 12 luglio 1883, tra il municipio e la ditta Marsaglia, si basava sui seguenti punti: all'imprenditore il comune riconosceva il diritto esclusivo di occupazione gratuita del suolo pubblico per la costruzione della condotta d'acqua potabile; la durata di tale concessione ammontava ad anni ottanta, scaduti i quali l'acquedotto sarebbe divenuto proprietà della città; l'imprenditore doveva garantire la purezza delle acque, che era facoltà del consiglio lasciarle analizzare periodicamente; l'acqua sarebbe stata derivata per 4.000 metri cubi giornalieri dalle sorgenti alle falde dei monte Ceppo e successivamente per altri 3.500 metri cubi dal torrente Oxentina; era consentito dal Municipio che 200 metri cubi estranei al computo venissero portati ad Ospedaletti; l'acqua eccedente sarebbe stata concessa per usi industriali e agricoli a prezzi ridotti; al comune sarebbero stati assegnati 1.000 metri cubi al giorno per le esigenze igieniche dell'abitato; i quantitativi d'acqua degli abbonamenti privati sarebbero stati versati nell'arco della giornata nelle vasche di raccolta di proprietà dell'abbonato; le fontane pubbliche sarebbero state aumentate di una unità ogni mille abitanti.

Il serbatoio di PoggioL'acquedotto fu inaugurato il 12 marzo 1884. Le sorgenti che Io alimentavano scaturivano da una quota media di 900 metri sul livello del mare. Esso era chiuso ermeticamente e costruito in parte in pietra e cemento e in parte in ghisa. Attraversava le valli dell'Oxentina e dell'Armea e aveva una lunghezza complessiva di 25 chilometri, in gran parte compiuti dalle acque a forzata pressione.
Esistevano a Poggio, un primo grande serbatoio di raccolta detto "del Poggio" ed un secondo detto "degli archi", costruito lungo la mulattiera di San Romolo.
Ad Argallo era in funzione una pompa che sollevava l'acqua delle sorgenti depresse rispetto alla condotta. Si trattava di una grande realizzazione di ingegneria idraulica, eseguita con i migliori materiali e con l'ausilio della più avanzata tecnologia.

« L'Asquasciati con l'acquedotto d'Argallo, costruito dall'Ing. Giovanni Marsaglia, dotò Sanremo di una irrigazione sana e abbondante. (A.N.Brizio. «Au Pays du Soleil ». Storia di Sanremo. 54° - 4) ».
Targa a ricordo dell'avvenimento posta nel 1950Accanto alla fontana, nota come lo "Zampillo" è stata posta nel 1950 una targa che ricorda come, « nel 1884 grazie ai meriti del Marsaglia e del Sindaco Asquasciati "zampillò" per la prima volta l'acqua proveniente da Argallo »
.

La costruzione dell'acquedotto implicò un onere considerevole per la città, eppure il consiglio comunale non esitò a deliberarla e fece anche pressione affinché i lavori venissero ultimati in fretta. Un maggior approvvigionamento idrico era necessario a risolvere la questione igienica e bisognava fornire acqua a sufficienza alla colonia straniera, se ci si voleva affermare come stazione climatica internazionale. Il problema dei costi passava così in sottordine, il turismo, ormai principale fonte di ricchezza della città, non poteva essere trascurato.
Ma al municipio non bastava che l'acquedotto venisse finalmente realizzato, le autorità comunali volevano soprattutto legare Sanremo ad un simbolo e pretendevano una condotta grandiosa, in grado di attirare l'attenzione della clientela turistica della Riviera.

Il contratto prevedeva un acquedotto che fosse stato in grado di erogare 7.500 metri cubi giornalieri d'acqua, qualcosa come 90 litri al secondo e 450 litri per abitante al giorno. Nizza, prima città di Francia, vantava 300 litri giornalieri per abitante, Parigi 90, Berlino 54 e Londra 141. In Italia Genova disponeva di 120 litri, Livorno di 27, Lucca di 24. Con la costruzione dell'acquedotto Sanremo diveniva insomma una delle meglio approvvigionate cittadine europee del XIX secolo.
Di questa grande quantità d'acqua, come detto, mille metri cubi giornalieri spettavano al Comune, per l'alimentazione delle fontane pubbliche e dei lavatoi (alla fine del secolo erano trenta le prime e tre i secondi), per l'innaffiamento delle vie e per lo sciacquo delle chiaviche, dei fognoni e dei canali bianchi. Questi compiti, però, assorbivano di fatto una quantità molto maggiore della cifra stabilita con il concessionario, sfiorando il tetto dei 1.500 metri cubi così ripartiti: 500 per le fontane, 500 per i lavatoi e il rimanente terzo per l'igiene dell'abitato, per il quale il municipio disponeva sul finire del secolo di circa 150 bocche d'innaffiamento.

Le autorità comunali poterono sempre usufruire di tale considerevole volume d'acqua, ma il quantitativo complessivo portato dalla condotta a Sanremo, per tutto l'Ottocento, non fu mai di 7.500 metri cubi giornalieri. Infatti, una volta che giunse in città l'acqua delle sorgenti dell'Argallo, in misura di 4.000 metri cubi, tutte le necessità vennero soddisfatte e anzi vi furono grandi avanzi. Il Comune così non procedette alla richiesta per lo sfruttamento delle acque dell'Ossentina e il concessionario si considerò sollevato dall'obbligo di fornire i pattuiti 7.500 metri cubi.
Ma se le autorità comunali rimasero inattive, lo stesso non fece la ditta Marsaglia, che acquistò le sorgenti che alimentavano l'Ossentina e le immise nell'acquedotto, sfruttando però il nuovo volume d'acqua a vantaggio di Porto Maurizio, che fu allacciata da una diramazione che erogava 800 metri cubi giornalieri.
Sanremo reclamò per sé il nuovo quantitativo d'acqua e chiese al concessionario, ora che vi era la disponibilità delle acque dell'Ossentina, di soddisfare la provvista pattuita di 7.500 metri cubi. Ne nacque un'interminabile vertenza che passò dal tribunale di Sanremo alla corte d'Appello di Genova e alla corte di Cassazione di Torino.

Ciò che spinse il comune alla lite con la ditta Marsaglia fu, incredibile ma vero, il problema della penuria d'acqua che, a distanza di soli dieci anni dall'attivazione dell'acquedotto, si ripresentava nuovamente.

Il fatto è che la città non solo non usufruiva dei 7.500 metri cubi originariamente concordati, ma non disponeva nemmeno dei 4.000 metri cubi delle sorgenti dell'Argallo. Queste, infatti, nella stagione estiva avevano una capacità di erogazione che era ben al di sotto dei calcolati 50 litri al secondo. Negli anni novanta il comune assorbiva circa 1.500 metri cubi per le necessità pubbliche e circa 1.000 metri cubi venivano assorbiti dagli abbonamenti privati. Questo comportava un consumo minimo di circa 2.500 metri cubi, che in estate si riusciva spesso appena a soddisfare, specie quando per lunghi mesi non pioveva. La città, insomma, che avrebbe dovuto disporre in proporzione alla sua consistenza demografica di uno dei primi acquedotti d'Europa, fronteggiava a stento le necessità dei suoi utenti ed era in grave difficoltà di fronte alle richieste di nuovi abbonamenti.

Il problema, specialmente se proiettato nel futuro, era tanto grave da non potere nemmeno essere risolto recuperando gli 800 metri cubi d'acqua destinati dal concessionario a Porto Maurizio. Bisognava assolutamente procurarsi tutte le sorgenti disponibili alle falde del Ceppo, per potenziare notevolmente la capacità dell'acquedotto.
Si riuscì a fare entrambe le cose e nel nuovo secolo, finalmente, il problema dell'approvvigionamento idrico fu risolto. La condotta, che dopo l'ennesima lite con la ditta Marsaglia fu municipalizzata, venne messa in condizione di lavorare al massimo della portata, che era di 9.000 metri cubi nel tratto a «pelo libero» che conduceva al serbatoio del Poggio e di 6.500 metri cubi giornalieri nel tratto ad «alta pressione» che portava al serbatoio degli "archi".
Alla fine del primo decennio del XX secolo, per l'appunto, l'erogazione massima delle sorgenti amministrate dal comune ammontava, nelle 24 ore, a 9.000 metri cubi, mentre il volume d'acqua minimo che si otteneva in estate era di 4.500 metri cubi. Quest'ultimo quantitativo, però, poteva essere aumentato di 1.000 metri cubi immettendo nelle condutture l'acqua di due sorgenti di riserva, l'Argenta e la Lauretta, situate presso Vignai. Le richieste d'acqua per uso potabile, intanto, andavano sempre più aumentando.

Nel 1906 gli abbonati erano 1.525, con un consumo giornaliero di 1.720 metri cubi; nel 1909 gli abbonati erano divenuti 1.697, per un consumo giornaliero di 2.120 metri cubi.
In queste cifre non era poi compresa la provvigione di Ospedaletti (200 metri cubi), né quella consumata dal comune per i servizi pubblici (1.500 metri cubi) e per mettere in moto le turbine dell'impianto elettrico municipale (1.500 metri cubi).


Nel 1910 fu municipalizzato l'Acquedotto Marsaglia, come detto più sopra, e fu creata l'Azienda Autonoma Municipalizzata per l'Acquedotto e l'energia Elettrica (AAMAIE).
Nello stesso tempo entrarono in funzione due gruppi idroelettrici utilizando proprio l'acqua destinata allo scopo.

Copertina pubblicitaria dell'AAMAIEMa ancora una volta una delle principali questioni cittadine venne sciolta ad esclusivo vantaggio della colonia straniera e dei sanremesi benestanti.
Così era stato per molti problemi urbanisti e igienici, avviati a soluzione nei quartieri turistici e nel nuovo centro direzionale cittadino, ma lasciati irrisolti nei vecchi rioni dove erano concentrati gli immigrati e i ceti più umili della popolazione locale.
Il ponte della Rocca con le lavandaie sul torrente San RomoloE cosi avvenne per il problema dell'acqua potabile, la cui distribuzione fu organizzata a esclusivo vantaggio degli ospiti e della ricca borghesia indigena.
Il fatto è che gli abbonati che venivano riforniti d'acqua dovevano pagare delle tariffe così alte che i sanremesi, così, durante tutto quel periodo, continueranno ad attingere l'acqua dalle fonti pubbliche e a conservarla in giare, senza disporre di alcun allacciamento diretto nelle case.
Era vero che, tra il 1870 e il 1900, sia il numero delle fontane che i metri cubi d'acqua da queste erogati si era triplicato, ma era anche vero che in questo lasso di tempo la popolazione della città si era raddoppiata.

Il rapporto effettivo litri/abitante era dunque solo lievemente migliorato, e solo lievemente si erano ridotti i disagi a cui i sanremesi erano sottoposti.

Non era certo molto e il sistema dei pozzi tardò a scomparire.

Lavandaie sul greto del torrente San RomoloAl contrario la quantità d'acqua consumata dai privilegiati abbonati conosceva i livelli, allora incredibili, di mille litri giornalieri. Ma i ricchi vivevano in ville circondate da grandi giardini che richiedevano di essere innaffiati e avevano ormai tutti applicato nelle loro case l'ultima novità prodotta dalle conoscenze idraulico-sanitarie del tempo, il water-closet, che «sprecava» decine di litri d'acqua giornalmente per famiglia per lo sciacquo delle latrine.
Fu in virtù di questi altissimi livelli di consumo che, nonostante il basso numero degli abbonamenti, quella che sembrava essere nel 1885 un'inesauribile quantità d'acqua divenne ben presto insufficiente anche se dall'anno in cui l'impianto entrò in funzione, nuove sorgenti furono via via immesse per aumentare il rifornimento idrico.



Prima di cominciare la costruzione della condotta, la ditta Marsaglia, e precedentemente la Société Lyonnaise des Eaux et d'Éclairage, aveva calcolato il fabbisogno idrico giornaliero della città con il sistema francese, che era stato applicato anche a Nizza, ed era così giunta alla conclusione che i 4.000 metri cubi dell'Argallo sarebbero stati largamente sufficienti alle esigenze della città e che i 3.500 metri cubi dell'Oxentina avrebbero ben fronteggiato le nuove richieste che l'aumento della popolazione avrebbe comportato.
Secondo questo sistema venivano calcolati, quale consumo medio, per persona 20 litri giornalieri, per operaio 5, per allievo di scuola, collegio, pensione e per soldato 10, per cavallo 60, per vacca 40, per vettura a quattro ruote 60, per vettura a due ruote 40, per metro quadrato di aiuole e giardini 3, per magazzini e botteghe 150 litri giornalieri. Ma questi parametri che negli anni ottanta erano considerati seri, dieci anni più tardi apparivano inadeguati al calcolo del fabbisogno idrico di un centro della consistenza e del prestigio di Sanremo. E se la situazione non fu poi così disastrosa come queste cifre lascerebbero pensare, fu in virtù del fatto che la condotta servì solo una ristretta fascia dei sanremesi, oltre naturalmente ai loro facoltosi ospiti.

L'effettiva quantità d'acqua di cui la maggior parte dei cittadini poteva disporre e i disagi che i più dovevano affrontare per procurarsi il fabbisogno idrico giornaliero non interessavano comunque più di tanto gli amministratori. Gli obiettivi che essi si erano posti, e che ritenevano importanti per il futuro di Sanremo, erano fornire acqua in abbondanza ai turisti e migliorare, grazie ad un approvvigionamento idrico consistente, le condizioni igieniche urbane. E questi obiettivi erano stati entrambi raggiunti.
Inutile dire che, solo da allora, si consolidò la coltura dei fiori che tanta irrigazione richiede, ed è pure superfluo enumerare i vantaggi immensi che dall'Acquedotto ne ebbe l'igiene cittadina e l'agricoltura in genere, a prescindere dalla particolare coltivazione dei fiori.
Anche se all'inizio del XX secolo la situazione idrica sembrava essersi stabilizzata, il continuo espandersi della città sia in edifici che in popolazione, fino al secondo dopoguerra, aumentò la necessità di incrementare il suo rifornimento idrico.


Grazie all'intervento dell'AAMAIE, a partire dal 1910 in poi si aggiunsero ulteriori fonti di approvvigionamento ; in particolare: la falda subalvea del torrente Argentina, con i relativi pozzi e centrale di pompaggio (1926).

Il bacino della diga di TenardaNel 1963, con la costruzione della Diga di Tenarda, nell'alta Valle Nervia, fu creato il bacino artificiale, che può contenere circa 2 milioni di m3 di acqua, che rifornisce d'acqua, per gravità naturale, buona parte del territorio sanremese.

Tuttavia, in periodi di lunga siccità, cosa che ha interessato il Ponente Ligure per secoli, l'acqua talvolta, specie nei piani più alti dei palazzi costruiti nel dopoguerra, l'acqua veniva a scarseggiare di nuovo, e di nuovo di pensò di riprendere l'idea del 1876 di portare le acque del fiume Roja, che nasce nelle Alpi piemontesi / Liguri, ricco di sorgenti, fino sulla costa risolvendo, una volta per tutte il problema idrico esistente non solo a Sanremo ma anche fino ad Imperia e a Diano Marina e oltre.


Le condotte furono realizzate in fasi successive: dal 1970 all 1981 fino a Capo Verde (il Capo tra Sanremo ed Arma di Taggia) passando parte via terra ed in parte sotto il mare costiero; successivamente, sempre passando via mare, le condotte raggiunsero Andora, terminando i lavoro nel 1999.

Ora l'acqua c'è, si tratta solo di curare la manutenzione delle condotte, specie quelle più vecchie, per evitare che un bene, così preziono per la vita delle città costiere, vada sprecato.
Sanremo oggigiorno è seminata da un numero elevate di fontane e fontanelle ma noi ci limiteremo a trattare solo quelle "storiche" e le più caratteristiche che hanno accompagnato gli anni del secolo scorso.

(Fonti: libera elaborazione tratta da:
libro "Siro Andrea Carli - Sindaco Benemerito 1797 - 1857 " edito dal "Comitato Arti e Tradizioni - Sanremo" 1962;
Dott. Andrea Gandolfo da "La Grande Storia di Sanremo" quinto volume;
Massimo Scattareggia "Sanremo 1815 - 1915" turismo e trasformazioni territoriali;
Ringazio per la loro collaborazione Dino Taulaigo, Sergio Carbonetto e Giacomo Mannisi;
Notizie ed illustrazioni provenienti da ricerche sul WEB; immagini storiche da archivio privato)

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